INTRODUZIONE |
La parola «ideologia» non gode di una buona stampa. Oggi, soprattutto, è diventata una parola sospetta, specie in riferimento alla politica. Nec nominetur in vobis. Per molti la parola «ideologia» richiama una realtà ormai superata o in via di superamento. Anche chi non ci crede, lo spera, come si spera il superamento di un pericolo o di una sciagura, che pure si scorge inevitabile, o evitabile in termini assai problematici. Intanto bisogna tacerne, per illudersi o illudere, per non creare delle psicosi o dei turbamenti. Se è giocoforza. parlarne, bisogna avere almeno il pudore – ci vien chiesto in sordina – di chiamare la cosa con un altro nome. Si dice : per non equivocare. In effetti la parola « ideologia» è senz’altro equivoca. Ma forse la ragione più sincera, per tacerne, è che non si ha il coraggio di parlarne: per prudenza o per viltà; per una malintesa saggezza o per ragione di metodo; per la reale difficoltà del soggetto, o per paura delle complicazioni che ne possono derivare.Tutti motivi da non sottovalutare, da tenere anzi ben presenti. Nondimeno ci decidiamo a parlarne, anche a costo di venir giudicati negativamente: fatto quasi inevitabile oggi; quando, a qualsiasi proposito, non si è conformisti o più elusivamente «conformisti-anticonformisti».Oggi infatti la verità è l’opinione prevalente, a cui ci si conforma più supinamente, nella misura che ci fa apparire anticonformisti.Ci proponiamo infatti di parlare dell’ideologia e di parlarne in bene, nonostante i mali e i pericoli che tale parola richiama, e che per nulla ignoriamo.Storicamente, la parola «ideologia» è sempre stata accompagnata da aspetti negativi. Così in filosofia, in sociologia, in politica, e persino in sede lessicale.Nella storia della filosofia, l’ideologia suona come assenza di realismo e di storicità; in sociologia, come una categoria reazionaria e conservatrice, come un’apologetica del potere, a cui si contrappone attualmente la categoria dell’utopia, per la sua spinta dinamica (si crede) e rinnovatrice.
In politica poi, l’ideologia ha assunto il significato di un apriorismo e di un dogmatismo intollerante e intrattabile (a prescindere da certi suoi riflessi pratici liberticidi) di dominio comune.
Persino in sede lessicale c’è da domandarsi che cosa ci stia a fare la parola «ideologia» ridotta nominalisticamente al suo puro senso etimologico di parola che richiama un qualsiasi atteggiamento mentale o un insieme di idee come dato di fatto spoglio di ogni giudizio di valore. Così il sostantivo e il rispettivo aggettivo diventano fungibili al di fuori di qualsivoglia compromissione o significanza «ideologica».
Ciò premesso, il disprezzo e gli attacchi all’ideologia ricorrenti nella storia della cultura non stupiscono. Gli illuministi che prepararono la Rivoluzione Francese furono degli «ideologi», e come tali si ebbero il disprezzo di Napoleone, spregiudicato giacobino. Marx da parte sua rifiutò categoricamente qualsiasi ideologia, contrapponendovi il «socialismo scientifico» (ma quale «teoria e prassi» è più «ideologica» di quella marxista?). La stessa Octogesima Adveniens di Paolo VI, sul piano della pura analisi storica. non presenta che ideologie più o meno negative, dando quasi l’impressione che la parola «ideologia» non possa significare altro, restandone irrimediabilmente compromessa.
Dal punto di vista storico, dottrinale e politico. il rifiuto dell’ideologia parrebbe quindi pienamente giustificato. Essa ha segnato e continua a segnare una via di pensiero e d’azione negativa. Bisogna dunque battere un’altra strada. Quale?.
Questo è il problema: quale altra strada percorrere. Chi, per un maldestro manicheismo antiideologico professa il rifiuto radicale dell’ideologia senza distinguere tra ideologia buona e cattiva, escludendo persino l’ipotesi dell’ideologia buona, è in dovere di indicare un’altra strada da percorrere, altrettanto valida, efficace. dinamica.
Posta in questi termini, la questione cessa di rimanere un litigio verbale, per diventare un grossissimo problema teorico-pratico: il problema dell’ideologia. precisamente, come concreto problema politico-sociale a portata universale. Di fronte ad esso, il litigio verbale sulla parola «ideologia» diventa meschino e ridicolo.
L’ideologia oggi è legata a una complessa realtà storica politico-sociale, e fa corpo con essa. È il tentativo di soluzione teorico-
pratico di tale problema. Può essere in concreto un tentativo sbagliato. Ma è il solo tentativo che l’affronti, collocandosi su un piano risolutivo di fondo.
Nell’ipotesi che l’attuale problema storico politico-sociale, in prima e in ultima istanza, non sia semplicemente di natura filosofica, o morale, o giuridica, o tecnologica, ma di natura «ideologica», è ovvio che anche noi cattolici dobbiamo affrontarlo per via ideologica.
In detta ipotesi l’ideologia non è più riducibile a un’etichetta verbale o a un termine astratto, facilmente surrogabile da una «voce» meno compromessa e più «pulita», o con un anodino eufe¬mismo, secondo i dettami della vecchia retorica. L’ideologia oggi in concreto non è più una sterile evasione cerebrale, né si riduce ad una categoria sociologica e culturale più o meno strumentalizzata o strumentalizzabile. Ma viene a coincidere con la realtà storica stessa, implicandone, in bene o in male, una progettazione e una mobilitazione di fronte alla quale la «politica delle cose» appare un gioco da bambini e le remore moralistiche lasciano indifferenti, quando non si pieghino all’equivoco.
Il rifiuto della parola «ideologia»,quindi, nasconde un pericolo non lieve. Si pensa di rifiutare una parola, ma in realtà si elude il problema che vi si nasconde. Si rischia di ripudiare quell’aspetto «ideologico» della realtà storica politico-sociale, che oggi ne è l’aspetto cruciale e decisivo. Il rischio è troppo grave e troppo gravido di conseguenze negative, precisamente dal punto di vista cristiano.
Prima dunque di rifiutare la parola «ideologia», bisogna pen¬sare a non rifiutare la realtà «ideologica» che essa richiama e il problema «ideologico» che questa impone. Se la parola serve a fis¬sare l’attenzione su tale realtà e problema, la parola «ideologia» rimane buona, e assolve degnamente la sua più elementare fun¬zione lessicografica e gnoseologica, a dispetto della sua impopola¬rità e al di là del suo significato equivoco.
Forsecché oggi le parole «democrazia», «giustizia»; «libertà», «pace», e con esse un’alta percentuale dei termini più vitali e impegnativi, sono meno compromessi ed equivoci della parola «ideologia»? Eppure nessuno li contesta. Quel che è peggio, tutti ne fanno uso (a cominciare dai cattolici) a volte senza nemmeno le indispensabili precisazioni. Perché dunque contestare la parola «ideologia», col solo risultato di eliderne il problema da parte di
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chi ne è maggiormente interessato o perché ne subisce la minaccia e il maleficio, o perché ne porta la tremenda responsabilità positiva?
Non siamo nominalisti, né fautori della filosofia del linguaggio oggi di moda, ma siamo ben consci della forza delle parole, non per le parole in se stesse quasi possedessero una virtù magica: ma è la loro funzione, che è quella di evocare un pensiero e un valore, imponendolo quasi automaticamente alla coscienza e all’azione.
Chi riesce ad imporre il proprio pensiero al linguaggio, riesce ad imporre la propria anima ad una cultura. E a sua volta, una cultura che imponga il proprio linguaggio, è una cultura in fase di assimilazione e di conquista, magari senza colpo ferire. Alla parola «cultura» sostituiamo la parola «ideologia»: e l’assimilazione di determinati linguaggi «ideologici» può darci la spiegazione e la misura di certe capitolazioni altrettanto paradossali quanto di per se impensabili.
Se ciò è vero per qualsiasi parola che entri nel gioco di una particolare cultura, o «ideologia», o religione, lo è ancor più per le parole «cultura», «ideologia», «religione», prese in se stesse, in quanto richiamano la centrale generatrice della forza e della precisa funzione del linguaggio, come portatore di uno specifico contenuto culturale, ideologico e religioso.
Poniamo pure l’accento sul contenuto «ideologico» e la sua centrale generatrice, poiché questo è il nostro attuale interesse: ma senza dimenticare che le tre centrali generatrici sono solidali, e che una quarta centrale generatrice di questa «carica» del linguaggio non esiste, o diventa illusoria. La stessa fede cristiana, che pure ai suoi inizi ha assimilato almeno in parte un linguaggio già esistente e non di rado «compromesso» – imponendogli però il suo «senso» -, storicamente è ricorsa alla mediazione della religione e della cultura per trasmettere il pensiero cristiano attraverso un linguaggio cristiano religioso e culturale, come oggi dovrebbe ricorrere a un linguaggio «ideologico» cristiano, per trasmettere il pensiero cristiano anche nello specifico e irriducibile settore «ideologico».
Si tratta, infatti, cristianamente, di tre settori o aspetti fondamentali della realtà storica: l’aspetto religioso, culturale, e ideologico. Tre aspetti interferenti, ma irriducibili fra loro. E tutti e tre da alimentarsi dalla fede cristiana, che li trascende, e che dunque non può identificarsi né sostituirsi a nessuno dei tre, tanto meno al settore ideologico.
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Quest’ultimo, in quanto distinto dalla religione e dalla cultura ,ha investito la realtà storica in tempi abbastanza recenti, ponendo un problema nuovo, e in termini (possiamo aggiungere) del tutto nuovi. Ma è accaduto un fatto strano: mentre il problema è stato colto e accaparrato in campo anticristiano, dobbiamo ammettere che in campo cristiano non è stato colto nella sua novità é specificità, e tanto meno ce ne siamo investiti. Prova ne sia il rifiuto non solo della parola «ideologia», ma dello stesso problema ideologico (da affrontarsi ovviamente, dai cristiani, in senso cristiano), che da oltre un secolo travaglia l’umanità, non esclusi i cattolici.
La questione del rifiuto della parola, di fronte al rifiuto della cosa impallidisce e naufraga nel bizantinismo. Ciò che conta, non è la parola «ideologia», ma la realtà a cui la parola ci pone di fronte. Ed è la tremenda realtà storica politico-sociale di oggi: la nuova realtà storica, diventata «ideologica», col relativo problema «ideologico». Esso è rimasto monopolio dello schieramento acristiano e anticristiano. È stato calato nella realtà con ideologie vive e operanti. Esse hanno caricato il linguaggio di nuovi sensi, e mobilitato l’azione di conseguenza. Tanto, che la contaminazione acristiana e anticristiana, attraverso la mediazione delle ideologie e rispettive prassi, è penetrata con estrema facilità nello schieramento cattolico e persino nel santuario della Fede.
L’ideologia è una forza. È senza dubbio la forza operativa storica più temibile, o più auspicabile. Essa infatti si sovrappone e può imporsi alla stessa terrificante energia nucleare, e al non meno problematico sviluppo tecnologico.
Ma è una forza adoperata male. Perché dunque non adoperarla bene? E per impegnarsi a usarla bene, perché non compromettervisi, cominciando a chiamarla col suo vero nome, appunto per non eliderla o anche semplicemente eluderla a favore del male? Non è cambiandole nome, o tacendo la parola «ideologia», che la si elimina come forza operativa del male e se ne eliminano più facilmente le insidie.
Tolta la parola, si rischia di eluderne ancora una volta il problema. II quale tuttavia rimane, poiché resta la realtà, restano le ideologie come coscienza collettiva animatrice della prassi e come prassi. Restano le ideologie «negative», mentre l’ideologia «positiva» che dovrebbe essere quella «cristiana», si elimina da sé, professando la propria impossibilità di esistere, e rifiutando persino di chiamarsi col proprio nome.
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Tutto ciò rappresenta un nonsenso e tradisce un disorientamento e un profondo disagio, che è necessario superare. La realtà storica politico-sociale è giunta a un punto cruciale, a una svolta decisiva, che oggi la impone ai cattolici non più solo come un problema di «Dottrina sociale cristiana», ma anche come problema ideologico cristiano, nel senso più preciso e impegnativo della parola.
Questa è la ragione per cui parliamo dell’ideologia cristiana in termini chiari ed espliciti, senza timore di chiamarla col proprio nome, anche se (teniamolo ben presente fin d’ora) l’aggettivo «cristiana» combinato con la parola «ideologia» perde il suo significato religioso e confessionale, riducendosi a semplice qualifica ideologica. |